Siamo a Como, precisamente a San Fermo della Battaglia.
Qui troviamo da ottobre 2018 il “Radici Restaurant”, dove si trova la cucina dello Chef Mirko Gatti. Mirko è cresciuto tra Londra e Copenaghen, affiancando grandi maestri internazionali come Jason Atherton o Nuno Mendez.
La cura e la perfezione dei piatti preparati dallo Chef Mirko Gatti portano a sentirsi all’interno di una mostra d’arte, di cui si è, allo stesso momento, partecipi. Radici va oltre al semplice “mangiare”, e lo si scopre durante la permanenza nel locale. E alla fine il cerchio si chiude. Tutto torna.
Le mie sensazioni sono sempre “di pancia”, quando si tratta di andare a mangiare in un ristorante. Vengo influenzata dal colore delle mura, dalla musica di sottofondo, dalle luci, dalla cordialità di chi mi riceve.
Al “Radici” l’atmosfera minimal e nordica, mi fa provare una sensazione di ritorno alle radici, di ritorno all’essenziale.
Arrivo finalmente a conoscere il menu e assaggiare quello che definirei “creazioni di una mente geniale”. Cucino anch’io, non a livelli di una ristorazione. Ma cucino abbastanza per capire l’impegno e la bravura che stanno dietro ad ogni pietanza.
La filosofia culinaria di “Radici” rimane strettamente collegata alla territorialità degli ingredienti e ad un “habitat” (lago, mare, selvaggia, frutti di bosco). Tutti ingredienti che caratterizzano il percorso sensoriale in cui ci imbatteremo una volta entrati al “Radici”.
Un viaggio che ci porta tra la montagna, il lago e la collina, da cui provengono le materie prime eccellenti, spesso anche selvatiche, grazie alla collaborazione con piccoli produttori biologici e biodinamici che condividono gli stessi valori sostenibili del “Radici Restaurant”.
“L’asperula è qui dietro, invece i formaggi provengono dalla Val Mulini, gli ortaggi da Cavallasca”, mi racconta Mirko.
La stessa sensazione di ritorno alle origini, la provo durante l’assaggio del menu’, dove mi ritrovo con una sfilata di piatti che parlano da soli.
Inizio la degustazione proposta con un antipasto di patate novelle, servite in “terriccio” (un crumble) di birra di castagne, fonduta di Semuda (un formaggio tipico lariano) e tartufo nero.
Proseguo con degli gnocchi di ricotta su vellutata di formaggi biologici di Malga, decorati con spinaci di montagna, achillea millefoglie e radici (quali genziana, topinambur, cicoria) e un filo d’olio alpino.
Continuo il viaggio con uno scamone laccato con sciroppo di porcini, ribes neri, pioppini e aromi di bosco.
A seguire una trilogia di sedano rapa: una vellutata dai sapori unici.
Come dessert un gelato d’orzo, birra e nocciole.
Finisco il percorso con una tisana di Betulle e cookies di finta corteccia.
Esco dal locale appagata, il palato ha fatto festa.
Nel menu che lo Chef Gatti mi ha fatto assaggiare c’è una storia, un cerchio si chiude, strettamente collegato, in questo caso, alla terra.
“Radici” mi ha colpita dritta al cuore (o in pancia, forse?), perché mi ha regalato uno di quelle esperienze sensoriali che più mi piacciono. Ho ritrovato in questa cucina un pezzetto di me, perché a mio avviso la cucina non si può scindere dall’arte.